GRAZIE ANDREA
Al supermercato
Mozambico, giustizia e pace ancora non pervenute
«È doveroso impedire la
trasformazione del Mozambico in un supermercato. È doveroso impedire la
svendita del nostro paese e delle sue risorse naturali. Parafrasando le parole
di Gesù nel Vangelo (cf. Mt
16,26; Mc 8,36; Lc 9,25), potremmo chiederci: a che serve guadagnare molto
denaro vendendo il nostro paese alle grandi e piccole potenze economiche del
mondo, se poi perdiamo la nostra identità come popolo mozambicano?»[1].
Un appello caduto nel vuoto
Le parole profetiche dei vescovi del Mozambico
echeggiano potenti a distanza di quattro anni. Correva l’anno 2012 e il paese
dell’Africa australe celebrava i venti anni degli Accordi di Pace - firmati a
Roma il 4 ottobre del 1992 - che ponevano fine ad una guerra civile che in
sedici anni aveva fatto un milione di morti. Nel documento, intitolato Costruire la democrazia per preservare la
pace, i vescovi guardavano al paese e constatavano una democrazia bloccata.
Individuavano la concomitanza di una pluralità di cause che, ad oggi, sono
rimaste inalterate: «Abusi di potere da parte dell’élite politica, idolatria
del partito associata a culto del capo, corruzione, disuguaglianza nella
distribuzione del potere, della ricchezza e del benessere che si riflette
nell’opulenza di una piccola minoranza ostentata di fronte all’impoverimento
della maggior parte della popolazione»[2].
Ma è sulla questione dell’economia e della gestione delle immense risorse
naturali del paese che si gioca la partita chiave della democrazia e della
pace. «Dio ha benedetto il nostro paese con una infinità di risorse. Di fatto,
oggi stiamo assistendo all’esplosione di scoperte, in qualsiasi parte e di ogni
tipo. Ma se nel loro utilizzo vengono a mancare la saggezza, la prudenza e una
politica giusta e trasparente, possono trasformarsi in un incubo, in una seria
minaccia per il paese o addirittura in una vera fonte di divisione,
disuguaglianza, conflitti e guerra»[3].
I vescovi avevano visto bene. Purtroppo il loro appello cadde nel vuoto.
Pochi mesi dopo, nell’aprile del 2013, cominciarono di nuovo gli scontri armati
tra i due avversari di sempre. Da una parte il Frelimo (Fronte di Liberazione
del Mozambico): filosovietico durante la guerra fredda, rigeneratosi
ultraliberista in tempi di economia di mercato, è al governo dal 1975 - anno
dell’indipendenza dal Portogallo - prima come partito unico e poi come sistema
di potere onnivoro che ha occupato in maniera tentacolare lo Stato, la società,
l’economia e la finanza. Dall’altra parte la Renamo (Resistenza Nazionale
Mozambicana): principale partito di opposizione che non ha mai rinunciato
definitivamente alla lotta armata, compromettendo in tal modo la sua
credibilità politica. Da tre anni prosegue questa guerra a bassa intensità che,
tra fasi di maggiore o minore violenza, continua a mietere vittime e che nel
settembre 2015 ha visto due tentativi di assassinio del leader della Renamo.
Supermercato Mozambico
Nel frattempo chi fa la spesa indisturbato al “supermercato Mozambico” è il
capitale straniero. In chiara connivenza con quella che un tempo era solo élite
politica ed ora è anche élite economico-finanziaria, complice di svendere per
tornaconto personale un paese benedetto dalle risorse naturali.
Nel Canale del Mozambico c’è uno dei più importanti giacimenti di gas
naturale del pianeta. Le prime concessioni risalgono al 2006. Attualmente
operano l’Andarko (USA), l’Eni (italiana), la Statoil (norvegese), la Cnpc
(cinese), la Galp (portoghese) e la Petronas (malese). Si stima che nella sola
area controllata dalla Eni ci siano riserve per 2407 miliardi di metri cubi di
gas, sufficienti per soddisfare per oltre 35 anni il fabbisogno italiano.
Nel regione centrale di Tete, nel distretto di Moatize, c’è il più grande
giacimento a cielo aperto di carbone del mondo. Vi operano la Vale
(brasiliana), la Jindal (indiana) e la ICVL (anch’essa indiana) che ha
recentemente rilevato le attività della Rio Tinto (britannico-australiana).
Il Mozambico è ricco di legname pregiato. La maggior parte delle
concessioni sono in mano ad imprese cinesi. È diretto in Cina il 93% del
legname tagliato in Mozambico. Una Ong ha calcolato che il 49% sia tagliato
illegalmente. Di questo passo nel 2029 termineranno le riserve commerciali di
legname.
Il Mozambico è uno dei paesi africani che maggiormente sta subendo il
fenomeno del land grabbing,
letteralmente “accaparramento di terre”: grandi multinazionali dell’agrobusiness, fondi di
investimento, società finanziarie e governi si appropriano, agevolati dal
potere locale, di vasti appezzamenti delle terre più fertili, generalmente
all’insaputa delle comunità autoctone che si trovano espropriate del bene
primario di sussistenza.
Un esempio eclatante è il ProSavana, uno dei
maggiori affari di agrobusiness del continente africano. Nel settembre del 2009
i governi del Mozambico, del Giappone e del Brasile firmarono gli accordi di
questo progetto controverso, elaborato e mantenuto sotto stretto segreto fino
al 2011. Il ProSavana prevede l’acquisizione di un’area di 14 milioni di ettari
nel nord del paese da parte di imprese dell’agrobusiness per impiantare le
monoculture della soia, del mais, della canna da zucchero e del cotone: un
progetto immenso che abbraccia 19 distretti di tre regioni diverse e dove
risiedono quattro milioni di persone che rischiano di rimanere senza terra
sulla propria terra.
È il meccanismo coloniale che si ripete: il paese
ridotto a fornitore di materie prime destinate all’esportazione e le comunità
locali asservite come manodopera a basso costo.
Nel frattempo l’economia mozambicana cresce. Negli
ultimi dieci anni, con un incremento annuo del PIL tra il 7% e l’8%, il
Mozambico è diventato una delle tre economie dell’Africa sub-sahariana più
attrattive per il mercato internazionale. Ma questo non si materializza nel
miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Anzi. Se è vero che
tra il 1996 e il 2003 la percentuale di mozambicani sotto il livello dei
povertà è diminuita dal 69% al 54%, tra il 2004 e il 2015 la percentuale è
rimasta invariata, mentre il numero assoluto dei poveri è aumentato di due
milioni. E il 43% dei bambini sotto i cinque anni continua a soffrire di
denutrizione cronica. A ratificare tutto questo, il rapporto delle Nazioni
Unite sullo sviluppo umano nel mondo, datato dicembre 2015, che colloca il
Mozambico nella posizione n° 180 su 188 paesi presi in esame. In sintesi: una
crescita senza sviluppo. Il PIL cresce, ma l’economia nazionale non è in grado
di trattenere e di distribuire la ricchezza generata nel paese perché
controllata dal capitale straniero. La ricchezza va all’estero (e nei conti in
banca dell’élite al potere), mentre la popolazione continua affossata nella
povertà.
Due linee di
azione. Dall’alto
Che posizione assumere e che fare come cristiani? Così risponde il
documento: «Non possiamo dissociare l’annuncio del Regno di Dio dagli
avvenimenti concreti della società che siamo chiamati ad evangelizzare [...].
Dobbiamo crescere nella coscienza che queste questioni del paese interessano
tutti, impegnarci seriamente e diventare più partecipativi nella gestione dei
problemi che riguardano la convivenza democratica e il bene comune»[4].
Un appello alla presa di coscienza, alla responsabilità e all’impegno a
partire dal quale si possono delineare due movimenti di azione: uno dall’alto e
uno dal basso. Per quanto concerne il primo, si afferma il principio di fondo
di un una politica costruita sulle basi del bene comune. In questa direzione, a
titolo di esempio, i vescovi auspicano la revisione e rinegoziazione dei
“megaprogetti” - vale a dire gli investimenti superiori ai 500 milioni di
dollari come quelli del carbone, del gas e dell’agrobusiness - in modo che ci
sia un beneficio effettivo per tutta la popolazione e per le generazioni
future. Altrimenti i megaprogetti finiscono per generare “megaproblemi”.
«Megaproblemi politici, economici, sociali, culturali ed ecologici»[5].
Dal basso
Ma questo non è sufficiente se manca una presa di coscienza dal basso. Ecco
allora che diventano «necessari e urgenti una riflessione e un dibattito
inclusivo sulle questioni cruciali del paese che non possono essere lasciati
solo ai politici di professione o agli specialisti del settore, ma devono
coinvolgere tutti gli strati della società civile»[6].
La società civile, appunto. La società civile - intesa come sfera di
interazione sociale che si pone in maniera critica, libera ed autonoma di
fronte allo Stato e al mercato - latita fortemente in Mozambico. Il
partito-stato Frelimo ha infatti occupato la sfera pubblica creando movimenti e
sindacati propri e continua soffocando con la violenza il dibattito e il
dissenso democratico.
Tuttavia forme embrionali di società civile stanno sorgendo nel paese
proprio a partire da quelle comunità locali che vedono calpestati la loro
dignità e i loro diritti per il solo fatto di vivere in aree ricche di risorse
naturali. Là dove appaiono i megaprogetti del carbone e del gas, là dove la
terra è espropriata e intere famiglie sono espulse, là dove le imprese cinesi
tagliano illegalmente legname, proprio là ci sono comunità che si mettono in
relazione e si organizzano creando cammini di resistenza. In questo processo di
costruzione dal basso, a partire dalle comunità locali, di una società civile
organizzata, la Chiesa gioca un ruolo determinante. In un paese dove i
cattolici sono minoranza, costituendo circa il 25% della popolazione, la Chiesa
è capillarmente sparsa su tutto il territorio nazionale attraverso le
parrocchie che, data l’estensione vasta, sono organizzate con il metodo delle
Comunità Ministeriali di Base: una Chiesa di base e laicale che esiste in virtù
dei suoi ministeri, come il corpo esiste in virtù delle sue membra.
Liberi sulla propria terra: le
Commissioni di Giustizia e Pace
Una di queste membra vitali delle Comunità Ministeriali sono le Commissioni
di Giustizia e Pace, che fanno riferimento alle rispettive Commissioni
Diocesane di Giustizia e Pace. Particolarmente attive sono le Commissioni delle
diocesi di Nampula e Nacala - situate nell’area interessata dal ProSavana - e
la Commissione della diocesi di Beira, nella zona centrale del paese, una delle
più colpite dal land grabbing e dal
taglio illegale di legname da parte di imprese cinesi.
Terra e legname: oggetto di appetiti globali e al tempo stesso fonti di
sopravvivenza delle comunità locali. Su queste due materie lo Stato mozambicano
si è dotato di due buone leggi che mirano a salvaguardare le comunità e il
territorio. Per esempio, sulla questione della terra, la legge afferma che essa
appartiene allo Stato e non può essere venduta. Le comunità locali hanno
diritto al suo usufrutto e nel caso che un soggetto terzo ne manifesti
l’interesse, la comunità deve essere coinvolta nel dibattito decisionale
attraverso consultazioni pubbliche. Al contrario, accade che il governo ceda la
terra alle imprese dell’agrobusiness e intere famiglie siano espulse senza
consultazione pubblica e senza alcun indennizzo. Analogamente, per la questione
del legname, la legge stabilisce che, oltre alle consultazioni pubbliche, il
20% di quanto l’impresa paga in imposte allo Stato sia destinato alla comunità
locale per progetti di sviluppo sociale e che il 15% venga utilizzato per il
rimboschimento. Nella pressoché totalità dei casi, ciò non si verifica.
Di fronte allo scollamento evidente
tra una buona legge e una popolazione vulnerabile che non la conosce e di
fronte agli abusi che ne derivano messi in atto dall’élite al potere e dal
capitale straniero, le Commissioni di Giustizia e Pace divulgano la legge nelle
comunità locali affinché esse stesse diventino coscienti dei propri diritti. Ma
c’è un passo anteriore che è più delicato e decisivo. In un contesto nel quale
le istituzioni producono una legalità troncata e nel quale imperano la paura e
la sottomissione di fronte all’autorità, le Commissioni di Giustizia e Pace
mettono in relazione le persone. Assieme all’altro, in un contesto di comunità,
si vincono la paura e la rassegnazione, si costruiscono una coscienza e
un’identità, si impara a prendere la parola e a rivendicare i propri diritti.
Primo fra tutti quello ad una vita degna. Da vivere come cittadini liberi sulla
propria terra. E non come merce in liquidazione in paese-supermercato.
Andrea
Facchetti, SX
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