0

Padre ADILI  EMANUELL ci ha mandato una sua riflessione sulla ricchezza dell'anziano di ieri e di oggi


“Ricorda i giorni del tempo antico, medita gli anni lontani. Interroga tuo padre e te lo racconterà, i tuoi vecchi e te lo diranno” Dt 32,7

In Africa l’anziano è molto rispettato perché portatore di vita, di storia, di esperienza. Le radici africane e la piccola esperienza di vita mi spingono ad affermare questo detto senegalese: “Un vecchio che muore è come una biblioteca che brucia” In una cultura di tradizione simbolica come quella africana  il deposito della cultura si trasmetteva da padre a figlio, da nonno ai nipoti. Nelle culture africane c’è tutto un mondo, una vita, un al di là che si può trasmettere solo immergendosi nello stile, nel linguaggio (non dico lingua). In Africa ci sono tanti linguaggi codificati. Basta contemplare la corda della saggezza Lega. Nella cultura lega non c’era un alfabeto concettuale. Il bisogno di comunicare è comune a tutte le culture. Per tramandare la cultura, i costumi, le usanze, le regole l’origine e i detti della cultura, i Lega usavano i proverbi che sono massime, cariche di un mondo di significato. Questi proverbi hanno ciascuno un simbolo che lo rappresenti. I Lega avevano una corda, la corda della saggezza lega, che conteneva la sostanza della loro cultura. Questa corda era il loro linguaggio per esprimere tutte le dimensioni della vita: la relazione famigliare, la vita, la morte, i rapporti tra persone ma soprattutto il rapporto dell’uomo con il creato. A una certa età i giovani venivano iniziati alla lettura di questa corda come il deposito della saggezza culturale. La saggezza degli antenati si rende esplicita con questa corda. Questa corda è una delle rare particolarità della cultura lega. Nelle culture occidentali e orientali troviamo la scrittura, l’alfabeto. Preoccupati di dare un’educazione alle generazioni future gli antenati Lega hanno creato questo linguaggio simbolico. Che cosa è dunque la corda della saggezza lega?.
La corda della saggezza lega è una corda su cui vengono appesi tanti oggetti presi nella natura. Ogni oggetto rimanda a qualcos’altro. Questi oggetti sono pieni di significati relativi all’ambiente che lo genera. La lettura della corda richiede una certa iniziazione alla cultura lega.

Occorre quindi attraversare l’apparenza degli oggetti per accoglierne il significato profondo. L’esercizio è di operare un passaggio mentale. Bisogna passare dall’oggetto-segno  al simbolo. Ogni oggetto ha un referente. Gli oggetti sono di vari ambiti della vita del Mulega: animale, vegetale, marino, delle rappresentazioni del mondo astratto ecc. Un oggetto può  avere uno o più significati. Per i Balega, la corda della saggezza rappresenta un codice, un vademecum di vita. Ad ogni oggetto corrispondono uno o più proverbi. Tra i proverbi  ci sono quelli di ambito normativo, funzione didattica, ecc. La lettura pubblica degli oggetti non costituiva l’unico modo di imparare la tradizione. Esisteva anche l’iniziazione tradizionale che ha il ruolo di inserire il giovane lega, solo maschio, nella cultura degli antenati. L’iniziazione aveva un carattere esoterico. Qui in modo particolare il giovane imparava a memoria un numero considerevole di proverbi importanti per la sua vita. Era l’unico modo di avere strumenti per affrontare la vita qualunque fosse la situazione. L’iniziazione quindi serviva a capire che cos’era la vita. Per il Mulega la vita è espressa nei proverbi. Occorre conoscere e vivere secondo i proverbi come insegnamento degli antenati. La loro conoscenza mette in relazione con gli ambiti dove questi oggetti sono stati attratti. Dopo l’iniziazione il giovane veniva considerato come un adulto e poteva prendere parola in pubblico davanti agli uomini.. Prima di questa tappa il giovane ascoltava gli insegnamenti degli anziani. Dalla bocca dell’iniziato poteva uscire una parola di saggezza. L’anziano era la persona indispensabile nel tramandare il contenuto della cultura. Solo l’anziano poteva educare, istruire, insegnare i più giovani in modo autorevole. Il modo che veniva usato era la narrazione.

Uno dei tanti podi per trasmettere questa ricchezza era la narrazione. In Africa per trasmettere la saggezza si usava il genere narrativo. L’anziano come fratello o sorella  maggiore inizia i più giovani alla cultura. Risultava che l’anziano possedeva una ricchezza, un mondo, una esperienza da raccontare. L’anziano deteneva le chiavi della conoscenza. Da notare una cosa: la conoscenza di cui parliamo è a livello pratico ma soprattutto esperienziale. Raccontava la sua esperienza, la sua vita, il suo lungo vissuto. Bisognava quindi affrettarsi per attingere a questa biblioteca fragile, mortale e passeggera.

L’anziano nel trasmettere la saggezza non doveva fare tanto rumore. Infatti sapeva molto bene che “un albero che cade  fa più rumore della foresta che cresce”. Nel suo operato di tramandare, l’anziano doveva essere paziente, rispettoso e umile perché sapeva che il suo sapere , senza queste virtù, poteva  causare più danni che bene. L’anziano sapeva che la sua missione, di fronte al giovane che cresceva, era molto delicata, doveva stare attento per non schiacciare la foreste che cresceva. Doveva quindi contemplare, proteggere, incoraggiare, lasciare vivere , lasciare respirare la Foresta che cresceva. Questa esperienza la sto adattando alla nostra famiglia missionaria dove giovani e adulti vivono insieme in comunità. Ciò può essere un dono – quando ciascuno occupa il suo posto – ma può costituirsi in minaccia quando uno vuole schiacciare la presenza dell’altro.

La nostra famiglia religiosa sta cambiando molto. In molte comunità troviamo anziani e giovani che vivono insieme. C’è il rischio di un confronto tra il passato e il futuro. Il giovane guarda al futuro. L’anziano pur guardando al futuro non dimentica la strada fatta, il passato. Da una parte c’è il rischio di proiettare nel giovane gli errori personali commessi nel passato. Dall’altra il giovane può considerare l’anziano come simbolo del passato e quindi non aggiornato, staccato dal passato e quindi “non capisce niente”. E’ molto pericoloso.

Invece la bellezza del vivere insieme nella comunità sta in questa diversità del dare e ricevere. Non è per motivo giocoso che hanno detto: “l’anziano se potesse. Il giovane se sapesse” l’anziano sa, conosce, ha esperienza ed ha imparato dalla storia. Il giovane può perché è pieno di forza, di entusiasmo, contento, proiettato al futuro, però in cammino, deve farsi le ossa con le esperienze della vita. Per questo la presenza di un anziano nelle nostre comunità è molto importante. E’ una provvidenza del Signore. L’anziano è una biblioteca. L’anziano sa tante cose. L’anziano ha sperimentato la fragilità, la debolezza umana. Ha capito il trucco del nemico.

Per quello vivendo con i giovani può essere un aiuto non privo di importanza. Può essere una guida che racconta la sua storia, che insegna ai più giovani che il vino vecchio è più buono, che bisogna avere pazienza perseverando nella preghiera. Mi ha sempre colpito ascoltare i nostri confratelli anziani. Mi ritengo quindi una persona fortunata.

Ci vuole però la consapevolezza che questo vivere insieme va costruito, curato, rinnovato evitando di dare per scontata la possibilità di vivere insieme in comunità. E’ dono del Signore. Un dono da curare, da coltivare. Perciò ci vuole una reciproca consapevolezza che apre la porta al lavoro da parte del giovane e dell’anziano. Ci vogliono momenti di scambio fraterno, momenti informali di amicizia. Se c’è l’amicizia  vera vi sarà l’unione dei cuori. Se c’è l’unione dei cuori ci sarà un’apertura. Se c’è l’apertura ci sarà una condivisione chiara e arricchente. Se c’è una condivisione spirituale il giovane imparerà tanto, più di chi ha letto tanti libri.

L’anziano diventa una biblioteca che offre la saggezza. Ci vuole l’amicizia spirituale. Ci vuole amore sincero e disinteressato. Diceva San Guido Conforti: “Amatevi come fratelli e rispettatevi come dei principi”.

L’amore fraterno mi spinge a considerare l’altro come mio fratello, mia sorella. Quindi sono custode della sua vocazione, sono custode della sua riuscita.

Quindi oggi la presenza di anziani e giovani nelle nostre comunità è una provvidenza del Signore. Il giovane contempla la fedeltà dell’anziano, le ripartenze per arrivare a questo punto della sua vita. Il giovane desidera, tende, anela ad arrivare a questa età ed impara da lui. L’anziano solleva il giovane, gli mostra la strada dell’essenziale. In una parola gli racconta la vita. Ci vuole però  la comunione dei cuori che richiede umiltà, rispetto, empatia e uno spirito che sa vedere il bene in ogni uomo, in ogni fiore che sboccia.

Il pericolo. Il grande pericolo, al mio umile parere, è il disprezzo dell’anziano perché privo di forze per la pastorale. Può costituirsi un peccato grave se per questa ragione umana venisse escluso, sconsiderato, isolato; peggio ancora quando viene considerato come “caso di emergenza”. Ricordiamoci sempre che l’anziano è stato giovane, ha dato tanto. Ricordiamo che la Chiesa, il mondo va avanti grazie alla preghiera di tanti anziani che sostengono il mondo, sostengono la Chiesa. Ricordiamo che la preghiera nel silenzio, nella debolezza è come un incenso che sale a Dio. L’anziano è quindi missionario per eccellenza perché il primissimo compito del missionario è la preghiera. Quindi guai a me se disprezzo, escludo, considero un anziano. Guai a me se la sua presenza mi da fastidio. Guai a me se dimentico tutto ciò che ha fatto nel passato. Guai a me se non vedo il prezioso servizio nel silenzio. L’anziano ha tanto da dare ai giovani. Sia l’anziano che il giovane  devono rimanere in stato di uscita che significa desiderio di imparare sempre anche dai giovani, ascoltarsi reciprocamente e stimarsi inferiori agli altri.

p. Adili Emmanuel, sx

Posta un commento

 
Top